Postfazione
Raccontare la Palestina e la sua collettività come pratica di
Resistenza.
Scrivere una postfazione per un autore è, e rimane, un compito
arduo, ma il tutto è reso ancora più delicato se l’autore in questione risulta
essere il proprio padre. In tempi non sospetti si sarebbe parlato di ‘conflitto
di interessi’, ma avendo assistito alla genesi di questi racconti come una
lenta e progressiva evoluzione che ha preso corpo in maniera sempre più veloce
e rapida, partecipando attivamente alla loro stesura con consigli, letture in
tempo diretto, correzioni e confronti fisici (anche piuttosto accesi e vivi!),
penso di essere arrivato al punto di poter esprimere un giudizio distaccato e
disinteressato. Gente della terra santa
è un’opera composta di racconti, una raccolta delle voci che vengono dal
profondo di una terra sacra, violenta e poetica contemporaneamente.
Una narrativa corale che prende forma nell’epica del nostro
tempo: l’occupazione. L’assedio di Gaza, i muri di separazione nella
Cisgiordania, i campi profughi nel Libano ecc., vengono superati
metaforicamente con la forza dell’immaginario.
Nella galleria di immagini che scorrono nei racconti, vi sono
alcuni tratti che ritornano come elementi fissi, e penso ai racconti dei
vecchi, seduti nelle case intorno ai propri familiari che pendono dalle loro
labbra come profeti portatori della Verità di Dio. Le loro rughe, interrogate
continuamente come se racchiudessero le risposte sepolte tra i solchi segnati
dal Tempo.
Il racconto autobiografico si sovrappone al racconto dei
protagonisti della terra di Palestina, traspare la solitudine in ambulatorio
del medico/narratore, il quale in Gente
della terra Santa, omonimo racconto che dà il titolo al libro, schiacciato
dall’angoscia spera “nella visita di qualche paziente” (siamo a ferragosto!) Il
suo interlocutore è un anziano minatore che non riesce a darsi pace della
scomparsa di un suo vecchio amico, sepolto nella miniera di Serbariu.
L’incontro sarà il pretesto per un viaggio, metaforico e reale, a Betlemme. Il
tema del ritorno si affaccia con forza, infatti è dal ritorno nella propria
terra che riaffiorano i ricordi mai svaniti della gente di quei luoghi, come
Adnan. Ogni incontro ha la funzione di aprire nuove finestre sulla storia della
Palestina, così come Adnan il ribelle che veniva allontanato dalla classe,
perché non si accontentava dei programmi rigidamente imposti dall’alto che non
lasciavano spazio alla conoscenza autentica delle vicende del suo paese.
In ogni episodio si viene a conoscenza di una serie di elementi
che caratterizzano quei luoghi: le vie strette, le case di mattoni attaccate le
une alle altre; i piatti tipici, per citarne alcuni come la maqluba (‘rovesciata’ di riso con
melanzane e cavolfiore), l’hummus e i
falafel, il dolce knafeh ecc.; i costumi tradizionali nel
racconto della nonna, la quale afferma di poter riconoscere dai colori e dai
disegni ricamati dei vestiti di chi li indossa, il paese di provenienza; la
condivisione dei rituali, il multiculturalismo come rispetto e armonia delle
differenti fedi che coesistono nella Terra Santa come crocevia (prima
dell’affermazione del piano di spartizione); gli aranceti di Jaffa e le sue
fabbriche di carta, il vetro soffiato di Hebron, il sapone di Nablus, le piante
di ulivo da proteggere come l’orto dall’attacco dei coloni. Questi sono solo
alcuni degli elementi simbolici che caratterizzano i racconti, tra cui uno dei
più importanti è rappresentato dalla chiave custodita dalla nonna, metafora
della Liberazione della Palestina.
Il piano dei racconti si sovrappone di continuo in un rapporto
di commistione tra verità e fiaba, nella quale emerge la coralità dei suoi
protagonisti, come nel racconto Il
vecchio e il passerotto, dove gli abitanti del campo profughi di Mar Elias
in Libano prendono a turno la parola scaricando la loro tensione e la rabbia
dettata da una condizione disumana. In questo racconto leggiamo dell’incontro
tra il suo protagonista, il vecchio Abu Salem, e la Morte (“la sagoma entrò
galleggiando con pesantezza, togliendo la luce e l’aria a quella povera stanza,
e si accovacciò in un angolo”). Sarà l’incontro con il passerotto a segnare la
sconfitta della Morte e la riaffermazione della Vita: «sorvolarono il cielo del
campo ancora assopito […] ecco la Palestina: Acri, Haifa, ecco Jaffa, Gaza,
Hebron, Gerusalemme con la sua cupola splendente».
La voce di tutto un popolo riemerge con poesia, fantasia e
resistenza. Raccontare la Palestina come un ‘universale fantastico’ che
racchiude nella sua storia tutte le particolari resistenze nel mondo, come
Omero voce della collettività del popolo greco. Ecco, la Palestina come la
Resistenza per antonomasia, che raccoglie in sé tutte le resistenze particolari
sparse nella terra.
Se come scrive Mahmoud Darwish «l’unico valore di chi vive sotto
occupazione è il grado di resistenza all’occupante», oggi in Palestina, e nel
mondo, l’arte rappresenta ancora uno dei metodi migliori per Resistere.
Omar Suboh