martedì 9 maggio 2017

Come un pugnale nel cuore

Non potevo permettere più a mia madre di trattare mia moglie da schiava, è contro la legge di Allah e del suo Mustafa...” e così io e vostra sorella abbiamo deciso di fare questo viaggio, anche per dare un futuro al bimbo che ha in grembo. Sì, mia moglie è in dolce attesa e vedrete che sarà la nostra benedizione, ed Allah ci aiuterà anche perché c'è questa creatura! Vostra sorella partorirà in Italia, vedrete che arriveremo sani e salvi, abbiate fiducia in Allah!”

Non riuscivo a capire quell’uomo, e quel suo tanto insistere che sua moglie era nostra sorella... a chi lo stava dicendo? A persone che avevano dinanzi agli occhi la morte, e vivono col cuore congelato? Lui cercava di proteggerla invocando Allah ed il suo profeta, ma qui c'è freddo e Dio non riscalda, ma quella donna, quella nostra sorella... lo era?

La mattina successiva lui era caduto nel mare, ma lei era comunque sorella di quei bravi fratelli. Lei soffocava le sue grida, ma chi poteva sentirla? Io chiudevo gli occhi e mi tappavo la orecchie. Per sei lunghe notti, lei veniva stuprata con suo figlio in grembo, piangeva in silenzio ed io con lei. Alla creatura in grembo mancava la forza di uscire a difendere sua madre, ed a me mancava il coraggio di morire...

Lo sapete io, io... muoio tutti i giorni pensando a lei schiava della suocera e vittima della malvagità dei suoi simili, ed io... il vigliacco che voleva salvarsi, che tappava i suoi occhi e le sue orecchie. Quando la guardia costiera ci ha tratto in salvo non ebbi il coraggio di guardare indietro, non so nemmeno se lei era è arrivata con noi, oppure anche lei è caduta nel mare?


Ancora oggi, sento il suo sguardo addosso e le sue lamentele, come un pugnale nel mio cuore.

venerdì 5 maggio 2017

Addio Madre

Venerdì mattina, mi sono accorto che mio padre era uscito di casa prima dell’alba, quasi segretamente, con mia madre che lo salutava singhiozzando. Quando le chiesi dove stava andando suo marito, mi guardò con tristezza indescrivibile e non disse una parola, lasciandomi morire di dispiacere e sensi di colpa. Tutto questo perché desideravo migliorare la nostra vita, vivere bene e perché no, mangiare carne tutti i giorni, e comprare dei bei vestiti e dei giocattoli per i piccoli, tanti giocattoli, anche quelli che non ho avuto mai! Una vita di benessere, senza preoccupazioni.

Trascorsi la mattinata cercando di capire dove fosse andato mio padre, ma nessuno sapeva niente, ed io avrei dovuto seguirlo per dirgli che avevo rinunciato al mio progetto. Se loro desideravano continuare a vivere nella miseria, senza prospettive e senza provare a migliorar le nostre vite, avrei accettato a malincuore il mio destino, l’avrei fatto per loro e per avere la loro benedizione.

Aspettai con ansia il rientro di mio padre, per annunciargli la mia sofferta decisione. Pensai: chissà, magari più avanti... adesso mi troverò un lavoro, un qualsiasi lavoro, metterò da parte un po’ di soldi ed attenderò la prossima occasione.

‘Quando ritornerà mio padre,’ pensai, ‘annuncerò a tutti la mia decisione, così saranno contenti e felici, forse i miei fratelli saranno meno felici, loro che m’immaginavano già in Italia e vedevano piovere i regali... pazienza, che conservino questo sogno per dopo, prima o poi lo realizzerò.

Mio padre rientò a casa dopo aver terminato la sua preghiera del venerdì, con in mano un pacchetto di Baclawa (dolce arabo fatto con pasta sfoglia e pistacchio), era stanco ma sorridente, come se avesse avuto un peso, una montagna sulle spalle e se ne fosse liberato. Avrà forse saputo della mia rinuncia, ma io non avevo parlato con nessuno, ed attendevo il suo rientro! Da quando gli avevo parlato della mia intenzione di emigrare, erano dimagriti ed invecchiati di almeno dieci anni.


Quel giorno mio padre sembrava aver trovato la pace, sarà stata la preghiera o sarà stato Dio che ha fatto la spia e gli ha rivelato il mio segreto, la mia rinuncia? Per la verità mia madre era ancora tesa e preoccupata, mi sembrava addirittura terrorizzata e nervosa, non riusciva a stare ferma, somigliava ad un uccello in gabbia che cercava di scappare da un gatto, che purtroppo si trovava in gabbia insieme a lei.

Il testimone invisibile

Qualche volta avevo fatto la strada da solo e, non so perché, sceglievo sempre di passare per le viuzze nel centro di Betlemme. Le trovavo belle, stavo lontano dal caos e dalla gente, nei vicoli incontravo e vedevo cose diverse, anche la spazzatura alla porta di qualche casa mi dava da pensare, come le voci che provenivano dalle abitazioni: m’incuriosivano e mi davano una certa serenità.
Mi rendevano allegro come chi ha imparato qualcosa più degli altri che passavano tra il caos quotidiano, che non aggiungeva niente alla tua preparazione e conoscenza: Nella via principale la vita mi sembrava sin troppo monotona.
È proprio in una di queste viuzze che la vidi per la prima volta, io avevo otto o nove anni, e lei non meno di settantacinque, o chissà, forse persino ottanta. Abitava in un piccolo cortile in comune con altre famiglie, la sua dimora, da quanto potei notare, era formata da una sola cameretta e lei era sempre seduta all'araba, ossia con le gambe incrociate. Indossava un costume in velluto, mi sembrava nero, ricamato a mano con qualche piccolo e povero disegno, in modo particolare sul petto. Il resto era difficile da vedere, del resto, non l’ho mai vista in piedi.
Lei stava lì, sulla soglia della sua dimora, aveva un pettine fitto e robusto col quale si pettinava, sembrava una regina nel suo palazzo fuori dal mondo o al di sopra di esso. I suoi capelli erano neri come il carbone e lucidi nonostante l'età, probabilmente usava qualche lozione magica o semplicemente limone, o forse dell'olio d’oliva. Questi bellissimi capelli erano lunghi e le cadevano nel grembo come onde del mare, una cascata nera d’acqua resa fresca e frizzante dalla lozione e dai primi raggi di sole.

Io restavo dall’altro lato della sponda del vicolo a guardare, ero incantato, quasi stregato, avvertivo che entrambi avevamo qualcosa in comune, forse la solitudine che sentivo in quella via, nonostante le voci che arrivavano dalle altre case... o forse per la tristezza e la gioia della sua indifferenza al mondo circostante?

Raccontare la Palestina e la sua collettività come pratica di Resistenza. Di Omar Suboh

Postfazione Raccontare la Palestina e la sua collettività come pratica di Resistenza. Scrivere una postfazione per un autore è, e...